Polloni Saverio

Saverio Polloni si occupa di animali da sempre. A modo suo però. Non da zoologo, né da naturalista: il suo pennello non li imbalsama, non li fissa in un referto enciclopedico. Neppure da artista animalier: mai li dipinge in azione, impegnati magari in stravaganti cacce secondo il gusto dei Bamboccianti di scuola cremonese, oppure avvinghiati in corrusche mischie come faceva il grande Frans Snaider per animare gli sfondi dei quadri di Rubens. E, ancora, rifugge da ogni esoterismo mitologico come quello di Orfeo, il quale gli animali li rendeva mansueti con il canto, e anche dall'antropomorfismo accattivante e un po' lezioso di Disney e degli altri cartonisti. Saverio Polloni si occupa di animali, ma a modo suo. Per parlare d'altro. Per parlare con loro e non di loro. Per farli parlare tra loro. Per parlare attraverso loro. Il procedimento che usa per questo straniamento estetico fa leva sulla mimesi, che è tema centrale dell'arte di ogni tempo, portata alle estreme conseguenze e interpretata mediante un bilanciato giustapporsi di ossimori e stereotipi. Nella loro "perfettissima" somiglianza (Polloni li raffigura a grandezza naturale con ogni pelo, baffo, unghia in evidenza) i suoi leoni, linci, leopardi, pantere, orsi, procioni sembrano come messi in posa: ieri ispirandosi un po' ironicamente all'ufficialità stentorea del ritratto ottocentesco, oggi, in sintonia con l'inquietudine spiazzante dello Zeitgeist contemporaneo, scorciandoli secondo prospettive leggermente deformanti, oppure stilizzandoli, cogliendone metonimicamente, una parte sola: suprattutto lo sguardo, che è gesto senza azione: insondabile, quasi metafisico, specchio e schermo di un pensiero ineffabile, dunque ansiogeno. Eppure nello stesso tempo, danno l'impressione di essere colti di sorpresa, fissati nell'istante di uno scatto fotografico, tanta è l'immediatezza e la fremente verosimiglianza con cui ci squadrano e ci sfidano, senza un cenno di timore. Come se fossimo stati non già con loro, ma dei loro, e dunque ne conoscessimo naturalmente aspetto e abitudini. Questa duplicità non è un caso: è piuttosto l'esito di una maestria stilistica raggiunta dopo lunga e intelligente sperimentazione. E' frutto di una pittura minuziosa e analitica, fotografica, che sfugge tuttavia alla fissità dell'obiettivo e anche dell'iperrealismo. In questo modo, il "suo" modo, tendendo cioè allo spasimo la verità dell'immagine, Polloni tramuta ogni personaggio del proprio bestiario in un divertente e sapiente philosope della Natura. Ogni orso, lince, leone, tigre, e compagnia ruggente esprime la convinzione della necessità di rivedere il rapporto con la Madre Terra. Ciascuno di loro diventa l'allegoria, per nulla consolatoria, di un mondo che potrà sopravvivere solo se ritrova l'armonia tra le diversità.
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